La decisione di fare questo cammino e la preparazione fisica

Interviste

LA DECISIONE DI FARE QUESTO CAMMINO E LA PREPARAZIONE FISICA

La seconda tappa di un viaggio simbolo sulle spondiloartriti assiali

 

Proseguiamo il racconto di Giorgio Circosta su come è riuscito ad affrontare gli ostacoli della vita imposti da una malattia reumatologica cronica come la spondilite anchilosante e sulla sua scelta di intraprendere i cammini, nonostante la malattia, che lo hanno portato e lo porteranno ancora a conoscere paesaggi, città, paesi di tutto il mondo insieme alla gente che li popola.

Giorgio, è arrivato il momento di parlarci dei tuoi cammini.
Affrontare i viaggi, dopo anni di immobilità fisica, ha il sapore di una sfida. È come mettersi alla prova uscendo dalla propria “comfort zone”, il tutto visto da un punto di vista positivo: a partire dalle aspettative del viaggio prima della partenza, seguite dall’effettivo sviluppo del percorso, poi l’attesa che precede l’arrivo e finalmente il traguardo sperato.
Il momento in cui si giunge alla meta è anche l’attimo della retrospettiva: lo sguardo torna indietro ad analizzare il lavoro che si è fatto e, a questo punto, inizia quel percorso di consapevolezza – di cui parlavo all’inizio – che porta ad una maggiore crescita anche, ma non solo, della propria autostima. Essersi messi alla prova, averla superata attraverso l’arrivo fa parte del “cammino”. Se c’è qualcosa che mi aspetto, alla fine di questo impegno, è sicuramente un nuovo “mattoncino” che entra a far parte del mio bagaglio di esperienza e di crescita personale. Poi, nello specifico durante il percorso non so a cosa andrò incontro: cioè che cosa e chi incontrerò. L’incontro, in questo caso, dipenderà da diversi fattori: per esempio uno specifico panorama in un determinato momento della giornata, sono tanti gli elementi che concorrono poi a sviluppare e a lasciare una “traccia” a livello emotivo in chi si è letteralmente “buttato” a corpo morto in un’esperienza così coinvolgente dal punto di vista personale. L’obiettivo da raggiungere è una condizione di equilibrio tra patologia cronica e la tua vita. Ora mi sto preparando per il prossimo viaggio in cammino, la via degli Dei: Più di 120 km di percorso da Bologna a Firenze attraverso l’Appennino tosco-emiliano. Attualmente mi alleno con appena due uscite settimanali di camminata, che sono destinate ad intensificarsi quando si avvicinerà la partenza.

Durante il cammino prevedi delle tappe in centri abitati/casolari o campeggi in mezzo alla natura?
Sinceramente non ho mai dormito in tenda, perlomeno non in questo tipo di percorsi. Tendenzialmente mi sono sempre fermato in abitazioni, ospitato negli appartamenti di alcune persone locali, altrimenti in ostelli o negli alberghi. Fare tappa in tenda non è mai capitato, anche per una scelta personale, sono sincero. Diciamo che in Italia non siamo attrezzatissimi per questo tipo di esperienza in tenda, e forse non è neanche la soluzione migliore per chi soffre di mal di schiena e/o spondiloartriti assiali.

Invece riguardo alla tua patologia hai degli accorgimenti particolari, per esempio stretching o altro?
Se devo essere sincero a me lo stretching non è mai piaciuto. Lo utilizzavo di più quando praticavo calcio agonistico, attualmente lo faccio ogni tanto ma non lo faccio bene. Quindi, questo tipo di accorgimento non rientra nelle mie corde, se escludiamo lo stiramento minimo della muscolatura ogni mattina al risveglio. Quindi, per il momento posso affermare che la patologia da cui sono affetto non limita la mia attività sotto ogni punto di vista. L’unica cosa che apprezzo dopo una giornata di cammino è un materasso comodo che mi attende all’arrivo di ogni tappa.

Giorgio, ma fai attività fisica nelle tue giornate “normali” al di là dei cammini?
Tendenzialmente devo ammettere di sì, anche se mi trovo in una fase della mia vita un po’ confusa, perché oltre al lavoro sono impegnato anche in un corso di studi all’università e partecipo attivamente anche a livello politico (locale) e sociale. Quindi riuscire in questo momento a ritagliarmi lo spazio, come facevo prima, per praticare attività fisica come vorrei è difficile. L’attività fisica residuale, considerando che lo sport mi è sempre piaciuto, dunque, è relativa: alla fine, lavorando 8 ore e dormendone 6-7, il tempo per praticare attività fisica a livello medio-alto significa stare in ballo almeno 2-3 ore per almeno 3-4 volte la settimana. Comunque, per quanto riguarda il viaggio che dovrò affrontare, non parto certamente da zero; è evidente che una base c’è, poi quando si avvicinerà l’impegno fisico “vero” farò in modo di diminuire l’impegno universitario e il resto delle attività per far quadrare tutto quanto.

Ma da quanto hai ricevuto la diagnosi sei riuscito a riprendere un’attività fisica regolare?
Dopo la diagnosi comunque non ho più potuto riprendere, per ovvi motivi, alcuno sport a livello agonistico, perché è proprio dai 18 ai 26 anni la fascia d’età nella quale avrei dovuto impegnarmi in tal senso e a causa della malattia non ho potuto farlo. Voglio dire, tuttavia, che mi sono rimesso sui pedali abbastanza regolarmente. Certo, giocare a pallone non significava più allenarsi tre volte la settimana, ma giocare a calcetto con colleghi o amici. Quello che voglio testimoniare è la ripresa dell’attività fisica regolare come la corsa e magari anche il nuoto, seppure quest’ultimo tipo di sport per diversi motivi non mi sia mai piaciuto.