Alcune delle nostre abitudini alimentari possono aiutare nella gestione di un’infiammazione cronica; altre, invece, rischiano di darle ulteriore sostegno.

Approfondiamole insieme: in caso di stato infiammatorio cronico, infatti, è molto importante adottare convintamente le prime e limitare quanto più possibile le seconde.

Diciamolo subito: non stiamo parlando di singoli alimenti, ma di abitudini a tavola. Questo è un aspetto fondamentale su cui vale la pena spendere qualche parola in più. Non sono infatti i singoli alimenti ad avere un effetto “proinfiammatorio” o “antinfiammatorio” finale sul nostro organismo, ma la quantità e la frequenza con cui li mangiamo.

In altre parole, se inseriamo in maniera sporadica, all’interno di uno stile alimentare non corretto, singoli alimenti cosiddetti “antinfiammatori”, non possiamo attenderci da essi nessun beneficio. Allo stesso modo, non sarà certo quella fetta di torta con panna mangiata per il nostro compleanno a darci dei problemi, se per il resto abbiamo abitudini corrette.

Ma andiamo per ordine e vediamo quali sono le abitudini da privilegiare, partendo da quella per molti versi prioritaria:

  • Mangiare in quantità adeguata, senza eccessi.

quanto mangiamo è infatti – al di là di casi specifici - generalmente più importante di cosa mangiamo. È bene evitare di mangiare più del nostro fabbisogno, che siamo in generale portati a sovrastimare, per non favorire sovrappeso e obesità. Nel caso abbiamo del peso in eccesso, dobbiamo invece puntare come priorità a tornare normopeso assumendo meno calorie del nostro fabbisogno energetico (in queto caso è sconsigliato procedere da soli: meglio rivolgersi a un dietologo, dietista o biologo nutrizionista). Sovrappeso e obesità favoriscono infatti uno stato di infiammazione sistemica cronica a causa del rilascio di sostanze infiammatorie da parte del tessuto adiposo in eccesso.

  • Stiamo attenti al sale

e non solo a quello che aggiungiamo noi, ma anche a quello che c’è già negli alimenti che consumiamo. Se da una parte, infatti, è bene imparare a insaporire i nostri piatti in maniera diversa (spezie, erbe aromatiche) e abituarci progressivamente a gusti meno salati, dall’altra è importante che il consumo di alimenti di per sé ricchi di sale sia di frequenza occasionale. È questo il caso, ad esempio, di pizze, focacce, insaccati e formaggi – che non sono vietati ma non devono appartenere alle nostre abitudini alimentari

  • Grassi saturi e zuccheri con parsimonia.

Quanto detto per gli alimenti con molto sale vale anche per quelli ricchi di grassi saturi e/o zuccheri: anche qui nessun veto in senso assoluto, ma sicuramente la necessità di riservare questi cibi per occasioni sporadiche.

Se a pranzo indulgiamo in leccornie, infatti, il nostro organismo reagisce con una risposta infiammatoria che, se non si aggiungono episodi analoghi, può in generale gestire senza problemi; il discorso cambia, però, se facciamo lo stesso anche cena, e al pranzo successivo, e così via. In questo caso, infatti, la risposta infiammatoria passa da essere “postprandiale”, ovvero limitata al tempo successivo a un solo specifico pasto, a diventare costante, con il rischio di generare o alimentare uno stato infiammatorio sistemico dell’organismo stesso.

  • Meglio i grassi insaturi, con qualche eccezione

Alcuni omega 3, forse la classe più nota di grassi insaturi, possono innescare la produzione, da parte del nostro organismo, di specifiche utili nel “proteggere” dagli stati infiammatori. Ottimo quindi integrare nella nostra alimentazione aringhe, salmone, tonno o sgombro.

Ma i grassi insaturi non sono tutti uguali: ce n’è infatti qualcuno cui in realtà è bene fare attenzione per il potenziale effetto “pro-infiammatorio”. È il caso in particolare dell’acido arachidonico, contenuto ad esempio nello strutto e nei salumi, ma anche in alcuni pesci come anguille e capitoni.

  • Alcolici: meno è meglio

L’infiammazione è una delle condizioni che il consumo di alcol favorisce, e che gioca un ruolo nella genesi o sostentamento di molti dei problemi di salute ad esso associati, un numero che si stima attorno al 200.

  • Più frutta e verdura

Infine, non facciamoci mancare frutta e verdura: si è osservato infatti che un loro consumo adeguato si associa a un potenziale generalmente protettivo, che si pensa dovuto non a singole componenti ma all’insieme delle svariate sostanze contenute, come vitamine, minerali e quelle che vanno sotto il nome complessivo di fitocomposti, tra cui diversi antiossidanti.

Accanto a queste abitudini generali, si possono poi indagare alcune misure individuali da adottare in caso di sensibilità personale a qualche componente alimentare. L’importante, in questi casi, è evitare il fai-da-te e rivolgersi invece al proprio medico.

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Autore

ANTONELLA
LOSA

NUTRIZIONISTA E DIVULGATRICE SCIENTIFICA

Lavora da 20 anni nel panorama Salute e Benessere (food & beverage / consumer health / farmaceutico). Negli ultimi 12 ha focalizzato in particolare il tema del rapporto alimentazione – salute, rispetto al quale è oggi attiva sia come esperta di comunicazione, sia come nutrizionista.

Negli ultimi anni ha collaborato con diverse aziende del settore sviluppando e realizzando progetti di comunicazione e di educazione alimentare diretti sia al pubblico generico sia a pubblici specifici come i professionisti dei media tradizionali e nuovi (giornalisti; blogger) e la classe medica.

Tali progetti, che privilegiano la componente esperienziale e di dialogo bidirezionale con il pubblico di riferimento, comprendono ad esempio laboratori pratici, workshop e tutorial, spesso condotti in partnership con Istituzioni riconosciute come musei, università o centri ospedalieri.

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