La scuola è già abbastanza difficile di per sé, ma prova a immaginare che cosa possa voler dire non solo SENTIRSI diversi, ma anche soffrire di una condizione che ti fa ESSERE diverso da tutti gli altri. Ogni adolescente vuole sentirsi accettato, svegliarsi la mattina e poter fare qualsiasi cosa senza essere bloccato dal dolore. Non conosco nessuno che non voglia partecipare a eventi sportivi, gite e attività sociali insieme ai suoi amici.
In terza media, dopo aver ricevuto la diagnosi di spondilite anchilosante, mi ero ripromessa che sarei stata una studentessa normale e che non avrei permesso alla malattia di influenzare la mia vita. Ero andata a scuola sorridendo e dicendo a tutti che stavo bene. Ogni mattina mi svegliavo indolenzita e dolorante, ma poi mi obbligavo a comportarmi normalmente.
Non mi ero concessa il lusso di confessare che stavo soffrendo. Dopotutto, chi mi avrebbe creduto?
“Le altre persone non possono vedere la SA, per cui credevo che nessuno mi avrebbe capita (come avrebbero potuto, del resto?).”
Educazione fisica, la mia materia preferita e quella in cui ottenevo i risultati migliori, si era trasformata da un momento all’altro in una vera e propria battaglia. Continuavo a stringere i denti e a partecipare, provando a correre e a saltare come i miei compagni. Da un lato mi stavo aggrappando alle vecchie abitudini, dall’altro sentivo che l’insegnante non credeva che mi facessero realmente male le ginocchia.
“Non è stato facile accettare il fatto di non essere più quella di prima.”
Non ero più la ragazza spensierata, attiva e piena di energia per cui lo sport era una parte essenziale della routine quotidiana. Avevo iniziato a camminare molto lentamente e a rimanere indietro, per cui i miei amici mi dovevano aspettare.
Ma non erano solo le lezioni in cui ero costretta a stare in piedi a essere pesanti. Anche nelle materie teoriche, a volte contavo i minuti che rimanevano fino alla fine della lezione perché non ne potevo più di stare seduta. Non ne avevo parlato con gli insegnanti e avevo impedito anche ai miei genitori di farlo. Non volevo che provassero compassione nei miei confronti e nemmeno che pensassero che fossi debole.
Allora non capivo che il mio desiderio di essere una normale adolescente nascondendo la malattia mi stava danneggiando. Solo dopo un anno, o forse anche di più, ho realizzato che la SA faceva parte della mia vita e che non potevo ignorarla. Allora, le cose hanno iniziato a cambiare.
Saperne di più sulla SA
L’anno successivo ho imparato molte cose sulla SA e ho capito che, anche se non doveva necessariamente dominare la mia vita, la mia malattia non poteva essere ignorata. Dato che non mi avrebbe abbandonata, era necessario imparare a conviverci.
Innanzitutto, ho confessato la mia battaglia alle mie amiche più care, per evitare di dover mentire ogni mattina fingendo che fosse tutto a posto. Nascondere il dolore non mi era stato d’aiuto, anzi: aveva semplicemente amplificato le sensazioni negative. Avevo bisogno di incontrare tutti coloro con cui mi sentivo a mio agio per condividere e spiegare la mia esperienza. In questo modo, nei momenti difficili avrei avuto qualcuno a cui appoggiarmi.
A oggi, non sono certa che i miei amici capiscano perfettamente come mi sento perché solo chi ha conosciuto il dolore della SA può capirlo fino in fondo, ma mi hanno sempre risposto con il loro amore e il loro supporto e so di poter fare affidamento su di loro.
Il passo successivo era parlare con gli insegnanti. A causa delle visite mediche e del dolore che mi impediva di andare a scuola, ero stata costretta a fare molti giorni di assenza. Raggiungere alcune aule era difficile, perché camminavo lentamente e soffrivo nel farlo. Insieme a mia madre, ho spiegato ai professori quello che stavo provando e che, alcuni giorni, la SA non mi permetteva di andare a lezione. Che può succedere che il dolore alle mani sia talmente intenso da impedirmi di scrivere. Soprattutto, che quando dico che non mi sento bene o che ho dei dolori non sto facendo finta, ma sto realmente affrontando una malattia.
Studiare con la SA
Ora ho accettato il fatto che, a volte, devo ascoltare il mio corpo, essere indulgente con me stessa e riposare. Questo significa che ci sono ancora delle attività e delle gite che devo saltare, ma ora la scelta spetta a me.
Dopo aver parlato con il mio medico di base, ho smesso di frequentare le ore di educazione fisica per conservare le energie per i compiti, per prepararmi ai test e, ancor più importante, per le lezioni di danza classica a cui tenevo così tanto. Al rientro da scuola ero veramente esausta, per cui era essenziale risparmiare ogni minimo frammento di energia. Se decidevo di andare in gita, mi informavo in anticipo sul programma e sulle particolari attività fisiche cui avrei dovuto partecipare.
Lentamente, con il tempo, ho imparato a conoscere la SA e, con l’aiuto dei miei genitori e dei miei insegnanti, ho trovato degli espedienti creativi per combatterla. Se la mano faceva troppo male, portavo a scuola un computer portatile per prendere appunti senza essere costretta a scrivere. A volte, ho fatto dei test orali. Ho ottenuto il permesso di avere due copie dei libri di testo, una per la scuola e una per casa, per non dover trasportare uno zaino pesante.
I miei genitori hanno ricordato agli insegnanti il mio stato di salute a ogni incontro e, in caso di problemi specifici, hanno scritto delle e-mail. Una volta capito come organizzarmi e come condividere la mia situazione con i miei cari, la scuola è diventata più facile e accessibile. Ho imparato a fare un breve riposino subito dopo la scuola, per poter recuperare un po’ di energia per il resto della giornata. Ma, soprattutto, ho imparato ad ascoltare il mio corpo e a non fare della SA un segreto inaccessibile a tutte le persone della mia vita.
Questo articolo è stato scritto da Adi Aharonian con l’aiuto degli esperti interni di ThisASLife.com, un sito social per aiutare l’intera comunità di pazienti affetti da SA a: Apprendere. Condividere. Ispirare. Discutere.