Come sanno bene tutti coloro che soffrono di SA, ricevere la diagnosi di una condizione dolorosa cronica è un evento sconvolgente e difficile da sopportare senza il giusto aiuto. Abbiamo chiesto a Priscila Torres, infermiera, rappresentante dei pazienti e persona affetta da dolore cronico, come è riuscita a superare le sfide poste dalla malattia grazie ai suoi cari.
Ogni volta che penso alla mia diagnosi, mi ricordo quanto ho pianto quando ho dovuto confessare a mia madre che soffrivo di artrite reumatoide. Sembrava che i ruoli si stessero invertendo: io, la figlia, le spiegavo che il mio corpo si stava deteriorando e che lei avrebbe dovuto prendersi cura di me in una società come quella brasiliana in cui ci si aspetta che, a una certa età, siano i figli a occuparsi dei genitori.
“Sembrava che, con questa diagnosi, fosse morta la versione di me che conoscevo. Riuscivo solo a pensare al peso che sarei stata per la mia famiglia.”
Mia nonna materna, ad esempio, ha iniziato a preoccuparsi e a essere agitata per me. Subito dopo essere stata messa al corrente, ha iniziato a preparare tradizionali rimedi di famiglia, a farmi ingerire qualsiasi tipo di tè e a cucinare pasti nutrienti. Mia madre si comportava allo stesso modo, venendo ogni sera nella mia stanza soltanto per vedere se avessi bisogno di qualcosa.
Mio figlio, ancora piccolo, si è subito responsabilizzato e ha iniziato a badare a se stesso. Un giorno, sdraiato sul divano con la febbre, mi ha detto: “Mamma, ho la febbre. Ma adesso sono grande, vado di sopra da solo. Non mi devi portare tu, so che non ci riesci più”. Mi si è spezzato il cuore. Tutti questi gesti erano fatti per supportarmi, erano un segno d’affetto, ma di fatto rendevano tutto ancora più difficile. Per questo motivo, sei mesi dopo la diagnosi ho capito di avere bisogno di aiuto.
Come prima cosa, sono andata da uno psicologo infantile insieme a mio figlio per aiutarlo a comprendere la mia condizione. Sono un’infermiera, perciò era abituato a vedermi andare all’ospedale, ma non a rimanerci per più giorni. Il mio trasformarmi da assistente ad assistita lo stava confondendo.
Lo psicologo mi ha aiutato a spiegargli la mia condizione perché da sola non avevo la forza di farlo. Con il passare del tempo, mio figlio ha capito la situazione e si è abituato ai cambiamenti: oggi ha 14 anni ed è il mio punto di riferimento. Si accorge di cosa ho bisogno, mi aiuta a gestire le medicine, sa tutto sulla mia malattia ed è sempre attento a darmi tutto l’aiuto necessario.
Il processo che ho attraversato insieme a mio figlio mi ha fatto trovare le parole per spiegare la mia condizione al resto della famiglia. Mia nonna ha imparato che i tè e i rimedi popolari non combattono le malattie croniche. Mia madre e una delle mie sorelle sono diventate le mie “partner nella malattia” e mi aiutano a gestire le cure e i trattamenti. Un supporto di questo genere è fondamentale perché, a volte, il dolore cronico impedisce di prendere lucidamente le decisioni e allora è importante avere al proprio fianco qualcuno che sappia sempre cosa fare.
La mia famiglia non mi ha mai trattata diversamente perché sono una “malata cronica”, ma mi hanno semplicemente dato l’assistenza e l’aiuto di cui ho bisogno. Potrebbe sembrare ovvio, ma la triste verità è che alcune persone potrebbero lasciarti solo. Dalla mia esperienza ho visto che, dopo la diagnosi, molti amici scompaiono: non si fanno vedere, non chiamano e, persino quando ci sono, ti guardano con curiosità, pregiudizio e pietà.
Amici di questo genere non fanno bene ai pazienti cronici. Abbiamo bisogno di supporto, forza, compagnia e simpatia. I veri amici fanno tutto questo e meritano di saperne di più sulla nostra condizione e sui nostri limiti, per trarre il meglio dai momenti condivisi.
Il segreto per vivere in armonia con una malattia cronica e con i propri cari è partire dal presupposto che, se ti accetti, anche gli altri lo faranno.
“Se vuoi vivere giorni pieni di amore e serenità con i tuoi cari, non nascondere nulla a te stesso e a chi ti sta intorno.”
Mi capita di parlare con centinaia di pazienti e auguro a ognuno di loro di ricevere la considerazione e le attenzioni che la mia famiglia mi ha riservato. Persino nei momenti in cui ho dovuto dipendere completamente da loro, mi hanno aiutata a non dimenticare la mia vecchia me. Sono stati questi momenti di pace e di normalità ad aiutarmi a imparare a convivere con la mia malattia cronica.
Questo articolo è stato scritto da Priscila Torres con l’aiuto degli esperti interni di ThisASLife.com, un sito social per aiutare l’intera comunità di pazienti affetti da SA a: Apprendere. Condividere. Ispirare. Discutere.