Tutti sanno che le spondiloartriti non sono facili da diagnosticare. Il tempo che passa tra l’esordio dei sintomi e la diagnosi di malattia è molto lungo e può raggiungere anche 8 o 9 anni. Questo fenomeno non solo è relativo a dati Italiani ma riguarda, purtroppo, tutto il mondo. Le ragioni di questo dato di fatto, che grava sui pazienti e sulla loro possibilità di accesso alle cure specifiche oggi disponibili, possono essere certamente molteplici. Verosimilmente, la natura del problema (il mal di schiena) porta in sè una certa difficoltà di “referral”.

In altre parole il paziente, in genere giovane, è, in prima istanza, portato a sottostimarlo. E il fatto che il dolore sia remittente agli antiinfiammatori non steroidei (solitamente autoprescritti) e che lasci dei periodi (più o meno lunghi) di benessere non aiuta. Quando poi, per il riapparire dei sintomi, inizia a rivolgersi al medico di famiglia, questo potrebbe, in buona fede, pensare a un mal di schiena gravativo o degenerativo, certamente più frequenti di quello infiammatorio delle spondiloartriti. Pertanto il paziente potrebbe essere indirizzato a vari specialisti come il fisiatra, l’ortopedico etc. E quindi, di lista di attesa in lista di attesa, passano gli anni.

In questo panorama non rassicurante, la letteratura medica ci dice che l’intervallo tra esordio dei sintomi e diagnosi è più lungo nelle donne che negli uomini.  Questo potrebbe stupire. In effetti le donne sono spesso accusate di “lamentela facile”, di esagerazione nel percepire il dolore e nel subirne le conseguenze. Ma, forse perché sono una donna, credo di poter affermare che le ragioni sono altre. Infatti, tenendo presenti le caratteristiche della malattia all’esordio e tenendo presente il ruolo della donna nella nostra società è facile capire il problema.

Tutti trovano naturale che le donne, anche nel 2020, anche se svolgono una attività lavorativa magari a tempo pieno spesso impegnativa in senso sia fisico che mentale, si occupino della casa, della cucina, dei figli piccoli, dei genitori anziani etc. E se mi viene risposto che comunque ci sono degli aiuti a disposizione (in qualche caso anche il marito), vorrei far presente che la responsabilità di sapere che la spesa sia fatta, che ci sia qualcuno che va a prendere i figli a scuola e li porta a nuoto, danza etc., o che i genitori siano accompagnati ad una visita medica è comunque della donna. Dunque, se deve pensare a tutte queste cose, la nostra giovane paziente ricorrerà ancora più a lungo agli strattagemmi sopra esposti come gli antiinfiammatori autoprescritti e, visto che quelli male o bene, per un po’ governano il dolore, “tirerà avanti”.

Una curiosità: è stato dimostrato che le donne con diagnosi di spondiloartrite che assumevano contraccettivi hanno avuto un tempo diagnosi più breve delle donne che non li assumevano. Questa osservazione conferma quello che abbiamo detto: le donne più abituate a frequentare i medici e a prendersi cura di sè, si accorgono prima che qualche cosa non va e si fanno curare.

Attività fisica o fisioterapia?

La spondilite anchilosante nelle donne

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Autore

ANGELA
TINCANI

MEDICO, SPECIALISTA IN REUMATOLOGIA E IMMUNOLOGIA. PROFESSORESSA DI REUMATOLOGIA

Medico, specialista in reumatologia e immunologia. Professoressa di reumatologia.

Opera presso la Unità Operativa di Reumatologia e Immunologia Clinica della ASST-Spedali Civili di Brescia. Riveste il ruolo di Docente per la Scuola di Specializzazione in Reumatologia della Università degli Studi di Brescia e di Visiting Professor presso la Sechenov First Moscow State Medical University of the Ministry of Health of the Russian Federation (Sechenov University).

Ha una riconosciuta esperienza nella diagnosi e cura dei pazienti con malattie reumatiche autoimmuni con focus particolare sulla medicina di genere.

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