QUANDO SI RIPARTE

Le emozioni

QUANDO SI RIPARTE

Una lezione dalla spondilite anchilosante: soffrire fisicamente per poi rinascere

 

A metà tra il sogno e il rammarico esiste un luogo chiamato presente. Non esiste modo migliore per allenarsi a viverlo se non viaggiando, in equilibrio come il funambolo. Camminare sulla fune tesa senza possibilità di errore, con attorno un oceano di libertà pronto ad inghiottirci.

Coast to Coast italiano, 410km in bicicletta, 9 tappe dall’Adriatico al Tirreno, partenza dalle Marche per arrivare in Toscana passando attraverso l’Umbria. Come si può dir di no davanti ad una fune così ben tesa?

Non è un percorso facile, si pedala tanto e soprattutto in salita. Il caldo dei primi giorni risulta quasi insopportabile, i dislivelli e le strade sterrate rendono ogni giro di pedale un esercizio di passione più che sportivo.

Chi mai avrebbe pensato che la Marche avrebbero potuto regalare la “lavanda dei piedi.”

Ripartendo da Osimo si imbocca un meraviglioso sentiero accompagnato da colline in piena mietitura. La fatica nel lavorare queste terre la si avverte al primo sguardo, non esiste scorciatoia né piana spontaneamente fertile. I calli sulle mani e la terra sotto le unghie sono il vanto di chi rende floridi suoli austeri, è un pò come riuscire a donare l’anima a grigi automi prodotti in serie.

In tutta questa poesia bucolica non poteva mancare il guado del torrente. Non è profondo anche se la corrente sostenuta. Scelgo di attraversarlo a piedi per evitare qualche scivolata maldestra in sella alla bici, con il rischio di bagnare le valige laterali.

Via scarpe e calze, bici ben salda al mio lato e si parte per l’attraversata. L’acqua fredda e il ciottolato del letto la rendono simile ad uno di quei percorsi termali, con la spiacevole differenza che una volta finito il guado l’attesa è per la terra mista sabbia pronta ad impastarsi con l’umido dei piedi. Fortuna volle che qualche anima pia avesse lasciato, in prossimità della prima roccia comoda per poggiarci le terga, un secchio utile alla causa della lavanda dei piedi. Un’esperienza sospesa tra il biblico, il far-west e la vita agreste.

A 10 km da Orvieto rifornimento acqua in un agriturismo.

“Mi dica” chiede la ragazzina, massimo 16enne, seduta accanto al bancone.

“Posso avere 2 bottiglie d’acqua?” Mentre penso a dove avessi giá visto quel volto giovane.

“Liscia o gassata?”

“Naturale”. Concentrato ancora a cercare nei cassetti ammuffiti della mia memoria rallentati dalla stanchezza.

“Fanno 3 euro”

“Grazie”. Che fatica cercare di ricordare.

Mentre la fatica dell’ultimo muro verso Orvieto brucia le mie energie residue come la fiamma brucia lo zolfo, ecco che finalmente capisco.

È uguale alla ragazzina del film “La dolce vita” di Fellini, che serve Mastroianni in un ristorante del litorale romano. L’unico imbarazzo di questo incontro spazio-cine-temporale è che io son rimasto io e ripresentandomi davanti allo specchio, di Marcello, non vi era neanche l’ombra dell’alluce.

Si entra per qualche km nel Lazio arrivando a Bolsena e sovrapponendosi in direzione opposta a quella che è la Via Francigena. Ad una manciata di metri dallo scollinare l’Umbria un imprevisto sbarra la strada.

“¡No pasarán!” sembrano voler comunicare 5 minacciosi e ben alimentati pastori maremmani. Detto fatto, neanche il tempo di far rumore con l’attacco del pedale per sganciarlo ed ossigenare le idee sul come valicare il muro di quadrupedi, che “il bianco della gang canina” inizia ad abbaiare e correre in nostra direzione.

Risultato? Via a pedalare solo con l’idea di evitare di trasformare i polpacci in freschi croccantini per cani pastori. Ringraziando quelle simpatiche bestioline per averci regalato 4 km in più di salita rispetto al programma, riusciamo ad arrivare in Toscana sani e salvi, senza aver guadagnato impronte dentali sulle gambe.

Tutti conosciamo la Toscana per la bellezza dei paesaggi, per le città d’arte, cene proteiche innaffiate da rossi densi come marmellata, cipressi ad ombreggiare sentieri sterrati che graffiano colline cesellate dalla mano dell’uomo.

Nessuno invece l’associa ad uno degli insetti più fastidiosi ed insistenti che si possano trovare in circolazione. Per me, da questo viaggio in poi, la patria del rinascimento è anche la terra dei tafani.

Ad ogni pendio, quando la velocità inesorabilmente diminuiva e la fatica aumentava, sciami di tafani indemoniati scortavano la pedalata.

Quando la strada sale si diventa più sensibili, l’innocenza della goccia di sudore che corre dalla fronte lungo il volto assume i connotati di uno sgarbo inopportuno. Lo sguardo basso, concentrato su gambe e pedali, evita di alzarsi per paura di non scorgere ancora la vetta. Si pedala più con l’istinto e le emozioni che con la ragione. In tutto questo concentrato di passione il ronzio e pizzico continuo degli insetti diveniva un carico ulteriore alla tenuta nervosa dell’animo. Un’esperienza tanto fastidiosa al punto tale da avvertire prurito nel raccontarla.

Esiste una parola inglese, escapism, che spiega come una persona davanti ad un ostacolo tenda a scappare, ad evitare l’attrito con qualsiasi imprevisto. Alla carica preferisce la ritirata, alla piazza il divano. Questo ero io prima di conoscermi davvero, prima di imparare a dare valore al tempo, al presente. Prima di capire cosa significasse soffrire fisicamente per poi rinascere, prima di tornare ad essere nuovamente io ma con la consapevolezza che i traguardi si raggiungono solo con lacrime e sudore. La vita, quella reale, non fa saldi ne offerte 3x2, è un concentrato di sorte e cinismo al quale non ci si può sottrarre ma che si deve attraversare camminando sulla fune tesa davanti ai nostri passi.

Ad un tratto mi venne una gran voglia di tornare a casa e farmi una doccia. Avevo bisogno mettere in ordine tappe, emozioni e pensieri.