Il percorso che porta dalla scoperta dei primi sintomi di spondilite anchilosante alla diagnosi finale varia da paziente a paziente. Per alcuni la diagnosi viene formulata in breve tempo; in altri casi, la strada è decisamente più lunga. In passato, per giungere a una diagnosi di spondilite anchilosante erano mediamente necessari dagli 8 ai 10 anni.1 Per fortuna siamo progressivamente riusciti a ridurre questo intervallo, ma sono ancora numerosi i pazienti in cui la malattia rimane a lungo non diagnosticata e non trattata, lasciando che il tempo si consumi tra appuntamenti con il medico di base, sedute dal fisioterapista e consulti presso altri professionisti, senza mai interpellare un reumatologo.

Che cosa ci dice il corpo?

I sintomi della spondilite anchilosante possono essere lievi o moderati oppure manifestarsi in maniera grave. Uno dei più comuni è il dolore lombare, che tende a migliorare con l’esercizio e a peggiorare con l’inattività. In molti casi può essere talmente forte da disturbare il riposo notturno e da limitare la mobilità durante le attività quotidiane. Tuttavia accade così spesso che questo tipo di dolore sia correlato a un trauma o all’artrite degenerativa che i pazienti, di solito, non arrivano nemmeno a sospettare che possa trattarsi di spondilite anchilosante a meno che abbiano già una certa familiarità con tale condizione.

Alla ricerca di sollievo

L’automedicazione con analgesici come il paracetamolo e con antinfiammatori costituisce il primo passo per molti pazienti. Questi farmaci procurano vari gradi di sollievo: alcuni si limitano a ridurre semplicemente il dolore, mentre altri contribuiscono ad attenuare l’infiammazione che ne è all’origine. Un altro strumento a cui spesso si fa ricorso è la fisioterapia, sia nel caso di pazienti con mal di schiena aspecifico sia nel caso di soggetti con una diagnosi di spondilite anchilosante. Migliorando la flessibilità, la fisioterapia può di fatto aiutare a ridurre alcuni dei disagi riconducibili alla spondilite anchilosante, ma difficilmente è in grado di fornire una soluzione completa. 2-3

 

Certo, ci saranno giornate buone e altre meno buone, per via della natura incostante dei sintomi, ma l’avere attorno persone consapevoli della situazione e in grado di fornire un supporto è in molti casi la chiave per vivere una vita serena, nonostante la spondilite anchilosante.

Rivolgersi ai professionisti

Abitualmente i pazienti si rivolgono per prima cosa al medico di base, descrivendo sintomi molto simili a quelli di un mal di schiena persistente. Il medico di base avrà di certo familiarità con una condizione comune come il mal di schiena ma, ancora una volta, sarà più propenso a sospettare un trauma o un’osteoartrite piuttosto che a prendere in considerazione un quadro di spondilite anchilosante.

Partendo da questo presupposto, è quasi scontato che il primo passo sarà un accertamento mediante esame radiografico e/o la semplice prescrizione di un trattamento antidolorifico. Uno dei problemi di questo approccio è che il danno causato dall’infiammazione nei pazienti affetti da spondilite anchilosante non è facilmente rilevabile con la radiografia, che potrà continuare a fornire risultati nella norma per anni, ritardando la diagnosi.

Per poter rilevare un’infiammazione da spondilite anchilosante è necessario eseguire un esame di risonanza magnetica, ma si tratta di una tecnica di indagine costosa e di non facile accesso che, proprio per questi motivi, difficilmente viene usata nelle fasi precoci della malattia. Ciò significa che per i pazienti a questo stadio è molto importante che il medico di base rimanga aperto alla valutazione di altre possibili cause, anche in presenza di una radiografia priva di anomalie.

Le cure specialistiche

Oltre che al medico di base, i pazienti possono rivolgersi a vari specialisti per il trattamento di altre condizioni associate alla spondilite anchilosante. Problemi all’anca o al ginocchio possono rendere necessario l’intervento di un chirurgo ortopedico, un’infiammazione oculare porterà a consultare un oftalmologo, mentre un’infiammazione intestinale o la psoriasi richiederanno il coinvolgimento di un gastroenterologo o di un dermatologo.

Poco importa, a ogni modo, quanto possano essere diversi i percorsi: la maggior parte dei pazienti finirà per bussare alla porta di un reumatologo, come me. Verrà analizzata in maniera approfondita l’anamnesi familiare e, in genere, verranno prescritti esami del sangue, radiografie o risonanze magnetiche per confermare la presenza di spondilite anchilosante. Sulla base dei risultati di tali esami, si potrà poi prendere una decisione su come procedere: potrà essere formulata una diagnosi, si potrà scegliere di non intervenire temporaneamente e di monitorare la situazione, oppure richiedere il consulto di un altro specialista.

Indipendentemente da quali siano i sintomi della spondilite anchilosante, il medico di base e il reumatologo monitoreranno l’evolversi della malattia per assicurarsi che la terapia sia adeguata e che le eventuali complicazioni o i possibili problemi correlati al trattamento vengano risolti tempestivamente.

Ciascun paziente avrà un percorso diverso, poiché ogni paziente è diverso.

Un valido supporto

Con una diagnosi confermata di spondilite anchilosante e un trattamento farmacologico adeguato, la fisioterapia personalizzata diventa una misura di per sé capace di offrire sollievo.3 Questa forma di trattamento può essere di difficile accesso, ma non sempre è necessario sottoporsi a numerose sedute: esiste tutta una serie di esercizi specifici per la spondilite anchilosante che possono essere praticati a casa e che, se eseguiti con regolarità, sono in grado di migliorare la funzionalità fisica.

La ricerca di un supporto e la partecipazione a esercizi di gruppo – servizi e iniziative spesso accessibili tramite enti benefici locali, associazioni di pazienti o addirittura online – possono inoltre aiutare a rendere le cose un po’ più leggere. Il fatto di sapere che nel mondo ci sono altre persone affette dalla medesima condizione e che affrontano gli stessi problemi può essere fonte di grande conforto e d’aiuto.

Indipendentemente dal proprio percorso, la scelta di condividere il problema non soltanto con i medici ma anche con gruppi di pazienti, enti benefici, amici e familiari, e finanche con i colleghi di lavoro può davvero arrecare un beneficio. Certo, ci saranno giornate buone e altre meno buone, per via della natura incostante dei sintomi, ma l’avere attorno persone consapevoli della situazione è in molti casi la chiave per vivere una vita serena, nonostante la spondilite anchilosante.

Questo articolo è stato scritto dal dottor Philip Robinson, collaboratore regolare di ThisASLife.com, un sito social per aiutare l’intera comunità di pazienti affetti da SA a: Apprendere. Condividere. Ispirare. Discutere.

Fonti bibliografiche:

1. Feldtkeller et al. Current Opinion Rheumatology 2000;12(4):239-47
2. Eppeland et al. BMC Research Notes 2013;6:185
3. Passalent et al. Current Opinion in Rheumatology 2011;23:142-147

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Autore

Dott. Philip
Robinson

CONSULENTE IN REUMATOLOGIA

Il Dott. Robinson è consulente reumatologo presso il Royal Brisbane Hospital in Australia. Oltre a trattare le persone affette da SA e a condurre studi clinici sui nuovi trattamenti per la SA, ha di recente completato un PhD sulla genetica della SA.

Si interessa in particolare alla diagnosi della SA in una fase più precoce del decorso della malattia, grazie a migliori strumenti e criteri diagnostici. Il Dott. Robinson parla di molti argomenti in campo reumatologico, compresa la SA, su Twitter e sul suo blog. 

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